A volte sogna e nel
sogno indossa un costume blu e rosso ed il suo volto è parzialmente nascosto da
una mascherina. Corre verso un aereo che sta decollando e salta da una moto per
aggrapparsi al velivolo. Sull’aereo c’è una bomba, lui lo sa e vorrebbe
disinnescarla, ma è troppo tardi. Vorrebbe saltare dall’aereo, ma la manica
sinistra si è impigliata e resiste ai suoi sforzi di liberarsi. Alle sue spalle
qualcuno grida ma lui non capisce le parole: è come se gli arrivassero
attraverso l’acqua. L’aereo esplode e lui sente un dolore atroce, fortissimo.
Cade e la caduta non finisce mai.
A volte sogna… e
grida.
DOSSIER
SOLDATO D’INVERNO
EPILOGO UNO
STORIA DI UN SOLDATO
di
Carlo Monni &
Carmelo Mobilia
Un’installazione medica segreta dello S.H.I.E.L.D
Il Comandante Steve
Rogers era decisamente perplesso. Conosceva Andrea Sterman
e sapeva cosa aveva fatto per Jack Monroe, ma anche se era raccomandata da
Sharon Carter, Steve non poteva fare a meno di chiedersi se fosse adatta per il
compito che le avevano affidato: annullare gli effetti di decenni di lavaggio
del cervello sull’uomo oggi conosciuto come soldato d’Inverno ma che in realtà
era il suo compagno d’avventure nei giorni bui della Seconda Guerra Mondiale
James Buchanan Barnes, meglio noto come Bucky.
Per anni Steve lo
aveva creduto morto e si era macerato nel senso di colpa per non essere stato
capace di salvarlo. Ora sapeva che era sopravvissuto, ma il senso di colpa non
si era placato: se lui fosse stato più rapido quel giorno maledetto del 1945,
se avesse strappato in tempo Bucky da quell’aereo,
lui non sarebbe mai stato catturato dai Sovietici e non sarebbe mai stato
trasformato in una fredda macchina di morte.
La dottoressa Emily
Snyder, la scienziata al servizio di quell’impostore
che si spacciava per il Teschio Rosso
comunista, catturata di recente,[1]
aveva acconsentito ad aiutare a deprogrammare Bucky
in cambio di una sostanziosa diminuzione di pena, ma a Steve quella donna
proprio non piaceva. Prima di andare da Bucky, passò
da lei per un veloce interrogatorio.
<Dottoressa Snyder ...>
<Capitano ... è venuto
a trovare il suo fedele compagno, immagino.>
<A che punto
siamo del processo?>
<Agli inizi. Il
processo è lungo ma è reversibile. Già nel 1956 il soggetto aveva dato segnali
di un recupero della memoria, per questo motivo ordinarono una riprogrammazione
mentale periodica. Vedrà che col tempo lei e il suo vecchio commilitone potrete
tornare a discutere delle canzoni di Bing Crosby e Frank Sinatra.>
Quell’allusione lo
irritò. Lei era a conoscenza del suo segreto, ovvero quello di essere in realtà
l’originale Capitan America, ma fintanto che lei fosse rimasta detenuta dallo S.H.I.E.L.D. il suo segreto
non sarebbe stato in pericolo anche perché lei sembrava intenzionata sa
tenerselo per se, ma perché? Voleva tenersi un asso nella manica? Ma per
giocarselo quando e come? Steve odiava questo gioco di segreti ma non aveva
scelta.
A proposito di
segreti, Steve non poteva saperlo, ma il
“Teschio Rosso” aveva provato a
rimuovere dalla mente di Emily Snyder la conoscenza della sua vera identità, tramite qualche
oscura tecnica post-ipnotica. Peccato
che non avesse funzionato: la conoscenza
di Emily nel campo del condizionamento mentale le aveva permesso di eludere la
manipolazione del proprio cervello, e dunque era rimasta a conoscenza di chi si
nascondeva sotto la maschera del Teschio Rosso. Tuttavia, si guardava bene dal
rivelare quest’informazione. Quel nome valeva una fortuna. Era una risorsa che
non poteva rischiare di bruciarsi così in fretta. Quel nome che le avrebbe
permesso di guadagnarsi o la totale fiducia del suo boss o la libertà dai suoi
carcerieri. Solo il tempo avrebbe stabilito quali delle due opzioni scegliere.
Steve non era a
conoscenza di questo dettaglio, ma non si fidava ugualmente della Snyder. Il che lo riportava al punto di partenza: Andrea Sterman era la persona adatta per il lavoro che andava
fatto? L’avrebbe saputo presto.
La dottoressa
Andrea Sterman si passò una mano tra i capelli e si
aggiustò gli occhiali. Non poteva negare di essere intimorita: le avevano detto
chi era il suo paziente e non riusciva a crederci. Bucky,
il primo compagno di battaglie di Capitan America era una vera leggenda. Da
quando i supereroi erano ricomparsi in massa dopo decenni di quasi assoluto
oblio, più di una volta si era parlato di un suo ritorno dalla morte, ma erano
stati sempre falsi allarmi, ora, però, sembrava che fosse la volta giusta. A
quanto pare erano stati fatti confronti con un parente vivente di Bucky e non c’erano dubbi sulla sua identità.
Il problema è che
bisognava restituirgli la sua originale personalità e qualcuno aveva pensato
che lei fosse la più adatta a provarci. Non era affatto sicura di esserlo, ma
era comunque lì in quella stanza insonorizzata a prova di fuga in una base così
segreta che l’avevano bendata per portarcela e si trovava davanti ad uno
addestrato da Capitan America in persona e che conosceva decine di modi di
uccidere a mani nude e lei doveva mostrarsi tranquilla. Facile eh? Il ragazzo
però aveva un’aria calma... spaesata forse, un po’ triste, ma assolutamente non
ostile. Probabilmente era a causa dei
sedativi che gli avevano somministrato. Era privo del braccio sinistro: quello
vero l’aveva perduto nel famigerato incidente aereo che fece finire il suo
leggendario partner in animazione
sospesa nelle acque dell’Atlantico, mentre la protesi bionica di cui il nemico
l’aveva provvisto era stata compromessa nel combattimento che ne aveva permesso
la cattura e poi rimossa per motivi di sicurezza.
La ragazza prese un
lungo respiro e disse:
<Buongiorno…
sono la dottoressa Andrea Sterman.>
<Un medico?>
chiese l’uomo, seduto sul lettino davanti
a lei.
<Psichiatra e
Psicanalista per essere esatti.>
<Una
strizzacervelli? Ne avrei bisogno?>
<Forse ne
abbiamo bisogno un po’ tutti, non credi? A proposito, io ti ho detto come mi chiamo,
ma qual è il tuo nome, quello vero intendo?>
Il giovane aprì la
bocca per parlare, poi si fermò, esitò a lungo, poi infine rispose:
<Io… non… non lo
so… non lo ricordo, non ci riesco.>
<Amnesia. Non mi
sorprende. Cosa ricordi del tuo passato?>
<Perché dovrei
dirtelo?>
Andrea sospirò.
<Perché non
dovresti? Non sono tua nemica, voglio aiutarti a trovare te stesso.>
Fu la volta del
giovane di ridere.
<Sono il Soldato
d’Inverno, non ho mai avuto bisogno d’aiuto.> replicò.
<Tutti ne hanno
bisogno prima o poi, credimi.> ribatté Andrea <Ora che ne dici di tornare
al tuo primo ricordo?>
Maggio 1945. Un laboratorio segreto in Unione Sovietica.
Aprì gli occhi e la prima cosa che vide fu un uomo con una mascherina sul volto che lo fissava impugnando qualcosa nella mano destra. Fu essenzialmente l’istinto a guidarlo: la sua gamba destra scattò e colpì l’uomo davanti a lui. A questo punto il giovane saltò giù dal lettino. Era confuso, si rese a malapena conto di non avere più il braccio sinistro ma sapeva usare quello destro e le gambe con invidiabile abilità. Arrivarono delle guardie armate che gli urlarono di fermarsi. Riconobbe la lingua in cui parlavano: era russo. Sebbene fosse in una situazione in apparenza svantaggiosa – era nudo, disarmato e privo di un braccio -lui le affrontò senza timore. Colpì violentemente il naso del primo di loro con il palmo della mano, poi con una gomitata sullo zigomo. La seconda guardia venne stesa con un calcio al costato e uno alla tempia. La terza invece fu colpita prima all’addome da una ginocchiata, poi venne afferrata per la gola.
<Chi siete? Dove siamo qui?.> disse esprimendosi nella lingua dei suoi aggressori, chiedendosi come facesse a comprenderla mentre finora i suoi pensieri erano stati in inglese.
Arrivarono altre guardie che gli saltarono addosso e, seppur battendosi con la stessa furia di prima, lui non riuscì ad impedire che uno dei medici, ripresosi nel frattempo, gli conficcasse una siringa nel braccio. Conteneva un tranquillante che fece effetto in pochi secondi. Non fece che pochi passi prima di stramazzare al suolo.
Alla clinica. Oggi
Steve Rogers vide
il suo vecchio amico portarsi le mani alle tempie e crollare sulla branda dopo
aver urlato ed entrò nella stanza.
<Cosa gli è
successo?> chiese.
<Non… non lo
so.> rispose Andrea <Gli ho chiesto di provare a ricordare e l’ho visto
concentrarsi, poi… beh l’ha visto anche lei.>
<Si… ho visto.
Come sta?>
Andrea si chinò sul
Soldato d’Inverno e gli sentì il polso.
<Polso e respiro
regolari. Sembra semplicemente svenuto.>
<Ma perché?>
<Se dovessi
azzardare una diagnosi dai pochi elementi che ho, direi che lo stress di
tentare di ricordare è stato troppo forte. Questo, però, potrebbe essere un
segno positivo.>
<Il fatto che
sia svenuto sarebbe un segno positivo?>
Andrea misurò
attentamente le parole:
<Il
condizionamento che aveva gli impediva di ripensare al suo passato, di
chiedersi perfino il suo nome. Se è riuscito a superare quella barriera allora
forse… dico forse… sta cominciando a superare il condizionamento ed il suo vero
io potrebbe emergere.>
<Capisco.>
disse Steve <Grazie dottoressa.>
<Suggerisco di
lasciarlo riposare e riprendere più tardi.>
<D’accordo. Un
po’ di riposo gli farà bene, in effetti. Sarà dura per lui quando arriverà alla
comprensione di ciò che è diventato.>
Mentre stavano
uscendo dalla stanza Andrea prese il coraggio a due mani e fece una domanda che
la assillava fin dal suo arrivo.
<Mi scusi Comandante
Rogers, giusto? Perché il fato di quest’uomo le sta tanto a cuore? E non mi dica che non è così. So leggere il
linguaggio del corpo e questa per lei è una questione personale, non lo
neghi.>
Steve rimase immobile
e silenzioso. Temeva questa domanda: non intendeva rivelare ad Andrea di essere
stato l’originale Capitan America, questo segreto doveva rimanere appannaggio
suo e di pochi selezionati. Rifletté su cosa rispondere ed optò per qualcosa di
molto vicino alla verità:
<Ho un debito
verso l’originale Capitan America e posso pagarlo salvando il suo vecchio
partner, ecco tutto.>
<Capisco. Le ha
salvato la vita quando era nell’esercito?>
<Cosa le fa
pensare che io sia stato nell’esercito?>
<Il suo
portamento e tante altre piccole cose. Ufficiale delle Forze Speciali?>
Steve rise.
<Lei è molto
sveglia Dottoressa, davvero molto sveglia. Le auguro buona giornata.>
Las Vegas, Nevada. Nello stesso momento.
<Chi è che
dobbiamo scovare?> chiese Jack Monroe, quasi incredulo.
<Ti ho dato un
fascicolo prima. Non lo hai letto?> gli rispose Sharon Carter.
<Gli ho dato
un’occhiata, ma ho smesso di leggere quando ho visto la foto ... perché mai lo
SHIELD è sulle tracce di un ragazzino cinese?>
<Non è cinese, è
un americano di origini coreane. Si chiama Amadeus Cho.
Se non avessi interrotto la lettura, sapresti che si tratta di un soggetto
dotato di un Q.I. altissimo. Uno dei più alti sulla terra. Secondo Fury, siamo davanti a un prossimo Reed Richards o a un
futuro Dottor Destino. Ha pensato quindi che è meglio iniziare ad ingaggiarlo
fin da subito per evitare che il ragazzo prenda una cattiva strada.>
<Chiaro. Vuole
accaparrarselo prima che lo faccia il nemico, dico bene?>
<Precisamente.
Inoltre, sostiene che il suo cervellone può esserci utile. Vedremo.>
<E secondo le
sue fonti, adesso è qui a Las Vegas per usare quel suo testone per sbancare il
banco.>
<Giusto. E noi
siamo qui per reclutarlo. Altrimenti perché mai ti avrei mai consegnato quello
smoking?>
<Già. A proposito,
tu stai benissimo.> disse commentando l’elegante abito bianco scollato sul
retro <Un vero schianto ... si usa ancora schianto, no?>
<Oh si ... si
usa ancora Jack. Grazie.>
Entrarono
nell’immenso Caesar’s Palace, illuminato
a giorno e il cui famoso ingresso era ispirato all’epoca romana. Presero
immediatamente la strada che conduceva al casinò.
<Non sarà
facile. Da quanto ne so, le
sale da gioco hanno una superficie complessiva di più di quindicimila metri
quadri e ci sono una miriade di attrazioni. Propongo di dividerci per
pattugliare meglio l’area.>
<D’accordo Sharon. E il primo che lo trova
avverte l’altro ovviamente. Ok. Io vado alle slot machine, tu ai tavoli di
black jack.>
<Ok.>
Qualche tempo fa[2] Jack
aveva lavorato in un posto molto simile a questo, durante una missione in
incognito nei panni di Nomad. Era un ambiente in cui
non si trovava a suo agio. Si aggirava tra le slot machine in cerca del suo
obiettivo, ma non vide nessuno che nemmeno gli somigliasse un pochino. E
inoltre non trattandosi di una missione di vita e di morte, un occhio alle
cameriere sexy lo buttava più che volentieri.
La scelta
fatta dall’avvenente bionda si rivelò più fortunata. Passeggiando tra i tavoli
indisturbata – cosa strana per una bella donna come lei, ma a Las Vegas gli
occhi sono puntati più sulle carte e sulla pallina bianca della roulette –
arrivò a quello giusto attirata dalle urla che all’inizio gli sembravano dovute
all’euforia del gioco per poi rendersi conto che c’era ben altro. A quanto
pare, tra i talenti di Amadeus Cho c’era quello di
mettersi nei guai
<Jack, l’ho trovato.>
<Di già? Diamine, ma sei un asso! Ci credo
che sei la beniamina di Fury.>
<Grazie del complimento, ma credimi se ti
dico che non è stato difficile...>
Sharon si riferiva alla confusione che si
stava levando dal tavolo.
<Piccolo piscia sotto... non solo non hai
ventun anni, ma ti metti perfino a barare sotto il mio naso!> disse
ringhiando un robusto bodyguard.
<Io non stavo barando. Ho un mio
sistema.>
<Sistema un paio di palle. Un moccioso
come te? No,tu ci hai preso per cretini, te lo dico io. Cosa credi, di essere
il primo furbone che viene qui e tenta di prenderci per il culo? Ora vieni
fuori con noi!>
<EHI! MOLLATEMI!> gridò Amadeus.
<Jack, raggiungimi in fretta. Le cose si
stanno facendo movimentate qui!>
I due energumeni portarono il giovanotto
asiatico nel parcheggio sul retro per dargli una lezione. Nonostante il lusso e
la ricchezza che li circondavano i loro modi non differivano da quelli del
ghetto.
Amadeus venne colpito alla stomaco con un
pugno e per il dolore si accasciò per terra, senza fiato.
<Non parli più adesso vero, cacariso? Ne
abbiamo visti tanti di yuppies rampanti come te ... “giovani brillanti
intraprendenti” convinti di arricchirvi in poco tempo venendo qua per tentare
il colpo della vita ...>
<Oh vacci piano> disse il suo collega
<è solo un ragazzino, cacchio ...e tu, fatti furbo e risparmiati un mese di
ospedale e dacci i nomi dei tuoi complici ... hai una talpa all’interno, vero?
Chi è?>
<Vi ho d-detto che non sto barando. Ho un
m-mio sistema... riesco a contare la carte. Io...>
<La tua lealtà mi commuove, moccioso, dico
davvero ...> tornò a dire il primo sollevandolo per il bavero.
<Fermi!> si senti dire alle loro
spalle. Si voltarono entrambi e videro arrivare Jack e Sharon.
<Ah voi dovete essere i suoi complici. Ora
facciamo quattro chiacchiere...>
Sharon non lo fece avvicinare troppo, con una
ginocchiata ai genitali e un colpo dato col taglio della mano al collo lo mise
al tappeto in men che non si dica. L’altro lasciò andare Cho
e imprecando volgarmente corse in soccorso del suo socio. Fu Jack stavolta ad
intervenire, piazzandogli un pugno allo stomaco e uno alla mandibola.
<Lo so che non ti serviva aiuto... ma
dovevi lasciarmi pur fare qualcosa no?>
disse sorridendole.
Sharon andò dal ragazzo, ancora dolorante per
il colpo subito.
<Cavolo ragazzi, vi devo ringraziare ...
stavo iniziando a farmela sotto per davvero. Cacchio, quei due avevano la
stazza per giocare a football e voi li avete stesi in pochi minuti. Non siete
gente comune. Per chi lavorate? E perché mi avete aiutato?>
<Che intuizione. Ma allora è vero che sei un cervellone...
> disse sarcastico Jack.
<Ci manda lo S.H.I.E.L.D. Amadeus. E siamo qui
per far si che il tuo genio non vada sprecato in attività futili come quelle di
stasera...>
Brighton Beach Brooklyn, New York.
Nell’ultimo mese la mafia russa ha subito un
durissimo colpo: prima la morte per mano del Punitore del suo più importante
capo a New York, poi l’arresto del suo killer più in gamba. Infine
l’umiliazione del numero uno della più grande organizzazione criminale russa da
parte di Natasha Romanoff, l’originale Vedova Nera.
Ma c’è un motivo se lo chiamano “crimine
organizzato”, ed è proprio per questo che oggi alcuni dei più importanti
capizona si stavano incontrando sul retro di questo ristorante. Dovevano
discutere di come rimettere in piedi i loro affari. Appollaiata in cima al
palazzo di fronte Yelena Belova, la “vera” Vedova
Nera come si autodefiniva, osservava attentamente il meeting. Doveva
riconoscere a se stessa che sentire qualcuno parlare nella sua lingua madre era
piacevole, dopo aver trascorso diverso tempo in compagnia degli yankees come Rogers e gli altri. Aveva piazzato dei
microfoni nella sala e osservava il meeting con uno speciale
binocolo/videocamera di ultima tecnologia. Questo sofisticato strumento le
permetteva di vedere dettagliatamente ogni partecipante, di notare da quant’è
che non si radevano o quanto gel si fossero messi. Tuttavia non le serviva
affatto per riconoscere l’uomo che ad un certo punto varcò la soglia ... lo
avrebbe riconosciuto tra mille. Solo, non poteva credere ai suoi occhi. Come
poteva essere lì quando il colonnello Fury le aveva
dato la notizia della sua recente morte?
Base
dei Vendicatori Segreti.
<Zakharov?
Impossibile!> esclamò senza esitazioni Nick Fury
<Abbiamo un cadavere di 150 kg con un cartellino attaccato all’alluce nel
nostro obitorio. È lui, non ci sono
dubbi. Con due buchi nel petto.>
<Le immagini le ha visto anche lei con i
suoi occhi... o almeno con quello che le è rimasto, colonnello.> ribatté
Yelena <Quello è proprio lui: il Colonnello-Generale Nikolai Aleksandrovitch Zakharov, l”uomo di pietra”, seduto allo stesso tavolo
con alcuni nomi noti della malavita russa.>
<Cose del genere si possono simulare.
Nessuno a parte noi dello SHIELD è a conoscenza della sua morte. Chi lo ha
ucciso vuole utilizzare l’influenza di Zakharov per i
propri scopi, quali essi siano.>
<Ma non sarebbe la prima volta che un
criminale simula la propria morte per agire indisturbato, lo sai anche tu
Nick> osservò Steve Rogers <E se il cadavere ritrovato dai tuoi uomini
fosse falso? Abbiamo modo di avere un test del DNA che ci confermi
l’identità?>
<Potrei chiedere a Brevlov[3] se
ha qualcosa che fa al caso nostro, ma ci vorrà del tempo.>
<Scusate, ma c’è un metodo più semplice e
rapido.> intervenne ancora Yelena <Perché non lo chiediamo al Soldato
d’Inverno? Lui potrebbe dirci come stanno realmente le cose.>
<Lo escludo> disse Steve <Il Soldato
d’Inverno è sotto cure mediche. Lo stress potrebbe essere controproducente,
viste le sue condizioni.>
<No Steve, è una buona idea.> replicò Fury <Ci avevo pensato anch’io a dire il vero. Non mi
piace mettere pressione al ragazzo ma potrebbe essere a conoscenza di molte
informazioni che possono rivelarsi utili.>
Steve sapeva benissimo che avevano ragione,
ma dopo tutto quello che Bucky aveva trascorso- per
colpa sua, che non era stato in grado di salvarlo quel maledetto giorno,
continuava a ripetersi - non voleva affliggerlo ulteriormente con altri
omicidi.
Ci volle un po’ per convincerlo, ma alla fine
di tre si recarono alla clinica dove il ragazzo era ricoverato. La dottoressa Sterman disse di andarci piano con lui, ma non fece alcuna
reale opposizione.
<Soldato.> disse Fury
entrando nella sua stanza.
Bucky si girò in sua
direzione, ma il suo sguardo si posò immediatamente su Steve, l’”americano
biondo” con cui s’era battuto per ben tre volte, senza riuscire ad ucciderlo.
<Ciao Buck ...> gli disse lui. Bucky non sapeva cosa rispondere, per cui non disse niente.
Fu Nick ha interrompere quella situazione imbarazzante.
<Soldato, siamo qui per porti alcuni
semplici domande. Si tratta del generale Zakharov.
Sappiamo che eseguivi i suoi ordini a Shudek.[4]
Vogliamo che tu ci dica tutto quello che sai sui di lui.>
<Zakharov ...
> il nome gli uscì dalla bocca, mentre la sua mente cominciò a rievocare gli
eventi dei mesi scorsi.
<Il generale, dopo gli avvenimenti in
Siberia, entrò clandestinamente negli Stati Uniti grazie ad alcune conoscenze
nella malavita russa. Mi diede l’ordine di eliminare Evgeny Stenkov,
un traditore da quanto mi è stato detto. Dopo di che mi incaricò di fare da
guardia del corpo a Ivan il Terribile. Non mi piaceva quell’uomo. Non mi
piaceva quando l’ho conosciuto nel KGB e mi piaceva ancor meno ora che era
diventato un Pakhan… un boss criminale ma non avevo
scelta, dovevo obbedire a Zakharov… Ma perché? E
perché vi racconto tutto questo?> Una pausa, poi il Soldato d’Inverno
riprese a parlare < Ricordo anche che dovevamo incontrare un uomo a Brighton
Beach e poi...> i suoi ricordi improvvisamente si fecero confusi. La testa
cominciò a fargli male. Iniziò ad agitarsi.
<Basta Nick! Non vedi che sta male?>
<Ok ragazzo, fermati. Non c’è bisogno di
andare avanti. Ci sei stato d’aiuto. Riposati adesso.>
Steve e Nick
cercarono di calmare il ragazzo. Gli versarono un bicchiere d’acqua,
rassicurandolo che tutto stava andando bene. Poi all’improvviso i dolori di Bucky si placarono, si sedette sul letto come se niente
fosse successo e disse:
<I-Il Generale Zakharov
è morto. L’ho ucciso io. Gli ho sparato a bruciapelo.>
Maggio
1945. Ufficio del generale Karpov.
Nel suo alloggio il Maggior Generale Vasily Karpov venne informato dell’episodio riguardante il soggetto ripescato nell’Atlantico. Non perse tempo e chiese tutti i dettagli.
<È stato ... incredibile. S’è battuto come un indemoniato. Non ho mai visto nulla del genere..> commentò uno dei soldati interrogati.
<Ma chi diavolo è?> chiese un suo compagno.
Il corpo di Karpov venne pervaso da un brivido di piacere, come quella che prova un uomo quando indovina il più improbabile dei pronostici.
<Dite allo staff medico di iniziare subito le analisi dei campioni di sangue prelevati al soggetto. Vi devono essere tracce del famigerato “siero del supersoldato”> disse con un’espressione simile a quella di un animale feroce che si sta avventando sulla sua preda.
Ospedale segreto S.H.I.E.LD.
Sapeva di essere
oggetto delle occhiate di coloro che incontrava, ormai ci aveva fatto
l’abitudine. Sono cose che capitano quando si è alti più di due metri e si
hanno un fisico da culturista ed i capelli verdi… soprattutto i capelli verdi.
Il Dottor Leonard Samson, rinomato psichiatra e
supereroe a tempo perso, noto nella comunità dei superesseri
semplicemente come Doc Samson, si concesse un
sorriso.
Ad attenderlo ben
tre donne: le prime due, la brunetta dai capelli ricci e gli occhiali, vestita
con in camicetta e minigonna e la bionda in tailleur beige le conosceva per
averle incontrate a qualche simposio di psichiatria. Quanto alla terza, anche
lei una bionda, ma inguainata in attillato abito bianco che ne evidenziava le
forme, gli sembrava inquietantemente familiare, ma non riusciva a ricordare
perché… né tantomeno perché la cosa dovesse inquietarlo.
<Dottoressa Sterman, è un piacere incontrarla.> disse stringendo la
mano alla bruna.>
<È… è un piacere
anche per me, Dottor Samson.> era forse
intimidita? Curioso visto il suo curriculum su cui Doc Samson
si era informato prima di accettare l’invito <Conosce le mie colleghe?>
<Difficile per
chi è del ramo non riconoscere la dottoressa Angela Lipscombe.>
replicò Samson tendendo la mano ala bionda in
tailleur <famosa neuropsichiatra che a dispetto dell’ancor giovane età ha
già sconvolto l’ambiente accademico con le sue ardite teorie sulle origini
organiche delle malattie mentali.>
<Era un
complimento?> ribatté la Lipscombe con aria
diffidente.
<Voleva esserlo.
> si volse verso la terza donna che lo guardava con un sorrisetto appena
accennato <Ci siamo già incontrati? Onestamente non sono sicuro miss… >
<Kate Svenson… consulente esterno… ho… una certa esperienza in
manipolazioni mentali.>
Di nuovo quel
sorriso beffardo, Samson scelse di ignorarlo. Se
quella donna era qui, dovevano aver controllato le sue referenze, eppure… no:
doveva concentrarsi sul lavoro.
<Ci ha chiesto
un consulto Dottoressa Sterman…>
<Andrea…>
disse lei.
<Andrea… per un
caso di lavaggio del cervello, ho detto bene?>
<Lavaggio del
cervello protratto nel tempo. Il soggetto… la sua vera identità è riservata ma
lo chiamano Soldato d’Inverno. È stato sottoposto a ripetuti lavaggi del
cervello nel corso degli ultimi 70 anni circa.>
<Settant’anni?>
esclamò Angela Lipscombe <ma quanti anni ha
adesso?>
<È stato tenuto
in animazione sospesa per lunghi periodi. Non dimostra più di 25 anni>
rispose Andrea <Ha reagito bene al… trattamento rieducativo e non ha avuto
nemmeno problemi a collaborare con noi. È stato come se si rendesse conto che
quello che aveva fatto era eticamente sbagliato e fosse desideroso di aiutare,
però soffre ancora di amnesia ed ha numerosi blocchi mentali che non riesco a
superare.>
Samson
scosse la testa.
<Non basta. Se vuole
il mio aiuto, dovrà dire molto più di questo: voglio sapere tutto.>
Andrea Sterman sospirò, era certa che si sarebbe arrivati a
questo.
<Seguitemi.>
disse.
Base
dei Vendicatori Segreti. Ore dopo.
<Posso levarmi la benda adesso?> chiese
Amadeus.
<Ancora no. Sta buono.> gli rispose
Jack.
<Colonnello? Qui agente 13. Io e Nomad siamo arrivati con l’obiettivo.> disse Sharon
parlando nel comunicatore da polso.
<<Portatelo
in sala riunioni. Arrivo subito.>> le rispose la voce dall’altro
capo. Fury li raggiunse in meno di un minuto e quando
il giovane lo vide arrivare gli venne l’ansia.
<S-So... sono nei guai?> chiese con un
filo di voce.
<No Amadeus, non lo sei. Anzi, tutt’altro.
Sono qui per farti la migliore offerta della tua vita.>
<Una di quelle che non si possono
rifiutare?> rispose il ragazzo con maggior decisione.
<Più o meno. Da questo momento però parli
solo quando te lo dico io, e senza ‘ste battutine idiote, intesi?>
<Ehm, si.>
<Vedi ragazzo... noi sappiamo tutto di te.
Di come hai perso i genitori durante la guerra coi marziani [5] e dell’incredibile intelletto che hai
sviluppato da allora. Sappiamo che hai cercato di spacciarti per mutante e di
frequentare l’istituto di Xavier, ma ti hanno scoperto ed espulso.[6] Come forse ti hanno accennato i miei due
agenti, voglio offrirti un lavoro. Voglio che tu metta il tuo cervello al
servizio della comunità, che ci aiuti a fermare terroristi o minacce aliene
come quella che ha ucciso i tuoi genitori.>
<E se rifiutassi?> chiese il ragazzo.
Nick fece una smorfia e indurì la voce (non che prima fosse molto più tenero):
<Stammi bene a sentire Cho>
disse puntandolo con il sigaro spento <Ti do due buoni motivi per cui
dovresti accettare. Quella tua testa e quello che sai fare fa gola a molte
persone... anche all’altra squadra, se capisci cosa intendo. Ora, per prima
cosa, posso garantirti che i loro metodi di motivazione sono piuttosto diversi
dai nostri e non li gradiresti, da retta a me. In secondo luogo, se non lavori
per me vuol dire che lavori CONTRO di me, e di conseguenza saresti mio
nemico... ed io non sono molto tenero con i miei nemici...> disse fissandolo
con la sua tipica espressione dura, che aveva fatto sudare freddo uomini ben
più duri del giovane Amadeus. Poi Nick si ricordò di non stare trattando con un
nemico sotto interrogatorio e si ammorbidì.
<Comunque ragazzo, voglio mostrarti di
cosa ti occuperai se lavorerai per noi ...> gli fece strada nel laboratorio
e lo condusse ad un tavolo di metallo, coperto da un telo. Fury
lo tolse scoprendone il contenuto.
<Forte! Ma è davvero un ...>
<Esattamente. Voglio che tu me lo ripari,
e che gli apporti qualche modifica.> disse allungandogli un foglio. Il
ragazzo lo guardò con attenzione.
<Interessante...>
<Allora siamo d’accordo, figliolo?>
Il ragazzo sembrava ancora un pochino
titubante.
<Andiamo ragazzo. Noi siamo i buoni. Stai
dalla parte giusta se giochi per noi. Salverai delle vite, e preserverai la
pace. La tua intelligenza è un dono, e cosa c’è di meglio che mettere il
proprio talento al servizio della gente? D’altronde, che alternative hai?
Continuare ad imbrogliare al gioco, aspettando il giorno in cui qualche mafioso
ti farà saltare le cervella?>
<D’accordo
Colonnello. Ma la paga almeno è buona?>
<Mettiti al
lavoro...> Fury uscì dal laboratorio, e andò
incontro a Nomad e Sharon.
<Non sei stato
troppo duro con il ragazzo?> chiese la bionda.
<Non avevi molti
più anni di lui quando cominciasti l’addestramento sotto di me, e allora ero
molto più duro di adesso.>
<Giusto. Anch’io
ho cominciato da adolescente, nei ’50.>
<Ora passiamo a
voi. Ho una missione da affidarvi.>
<Di che si
tratta?>
<L’agente Belova. Stava indagando su un raduno di mafiosi russi e ha
trovato Zakharov in mezzo a loro.>
<Zakharov? Ma non l’avevano fatto secco?> chiese Jack.
<Così mi pareva.
Abbiamo anche il suo corpo in una cella frigorifera, eppure l’ho visto
presenziare a quel meeting.>
< Pensi che
abbia simulato la sua morte per agire indisturbato?>
<No, so per
certo che Zakharov sia morto. Ho avuto la conferma
del suo omicidio. Quello che voglio è che voi tre scopriate chi è che si sta
spacciando per lui, quali sono i suoi obiettivi e me lo portiate qui!>
Nomad
abbozzò un sorriso.
<Cos’è che ti fa
ridere, Monroe?>
<Nulla di che,
colonnello ... solo, sono passati sessant’anni e vado ancora a caccia di russi.
Corsi e ricorsi storici, non ti pare?>
***
Steve Rogers aveva ripreso a tenere le sue
lezioni di arte alla Lee Academy, ma la sua testa era assorta da mille
pensieri.
Pensava a Connie Ferrari, la sua fidanzata,
morta da poco[7] ,
di cui non aveva ancora superato la morte. Avevano fatto numerosi progetti, si
parlava di matrimonio e di una vacanza in Italia, ma tutto è stato spazzato via
da quel proiettile che le aveva tolto la vita. Se non altro il suo assassino
era stato arrestato grazie a Devil,[8]
non che questo lo facesse davvero sentire meglio.
Pensava a Bucky, che
considerava un fratello, tornato dal “mondo dei morti” come una micidiale
macchina omicida, e che aveva attentato più volte alla sua vita e a quella di
altri americani. Il suo migliore amico caduto in un incubo crudele, privato dei
ricordi e della coscienza di se stesso.
Pensava a Sharon. Sapeva che rivelarle che in
realtà non era morto sarebbe stato un duro colpo,ma mai quanto quello che le aveva
inferto lei. Scoprirla madre di una bambina di cui lui è probabilmente il padre
è stato uno shock fortissimo, da cui si stava riprendendo a fatica . Era un
argomento da affrontare al più presto, rimandato per troppo tempo a causa del
Soldato d’Inverno. Ma ora Bucky era in buone mani e
lo stavano aiutando a recuperare la memoria. Non poteva più rimandare: doveva
parlare a Sharon.
Quel pomeriggio, al termine delle lezioni,
prese un aereo ed in poche ore si trovò dinanzi a Villa Carter, in Virginia.
Suonò alla porta e a riceverlo fu il maggiordomo.
<Buongiorno Smithers.
Cercavo Sharon.>
<La signorina Carter non è qui. Ha
lasciato detto che mancherà per alcuni giorni.>
<Ah...> si limitò a dire Steve. Sapeva
benissimo cosa volesse dire. Sharon era “tagliata fuori” ovvero era in missione
per conto dello S.H.I.E.L.D., dunque la sua assenza era “a tempo
indeterminato”.
<Senti Smithers
come sta la bambina?> chiese candidamente.
<Oh, la piccola Shannon sta benissimo. Sta
facendo il suo riposino pomeridiano. Sa, è stanca morta per aver giocato in
giardino per tutta la mattina! È una
bambina tanto allegra...>
Già... come lo era sua madre un tempo, penso
Steve. Valutò cosa fare: svegliare
Shannon era fuori questione. Forse poteva rimanere finche non si fosse
svegliata e poi passare un po’ di tempo con lei. Del resto era libero per tutto
il weekend e figlia o no voleva bene alla bambina ormai.
Purtroppo per lui, spesso le migliori
intenzioni vengono spesso frustrate. D’un tratto, gli squillò il cellulare.
<Ehi Nick... pensavo proprio a te. Dimmi,
hai mandato Sharon in qualche missione?>
<<Ti
chiamavo proprio per questo motivo, Steve. Ho mandato la squadra sulle tracce
di quel impostore che si spaccia per Zakharov. Ma ho
perso il loro segnale da più di due ore.>>
Il volto di Steve assunse un espressione
cupa.
<Sto arrivando.> disse.
In meno di un’ora Steve aveva raggiunto Fury nella loro base sotterranea segreta, quella posta
sotto al di sotto dell’ormai in disuso negozio da barbiere. Aveva indossato la
sua uniforme blu ornata da una stella sul petto. Ogni volta che la metteva
diceva a se stesso che sarebbe stata l’ultima volta, ma ormai era già alla
terza occasione, e in cuor suo sapeva che non se ne sarebbe liberato tanto
facilmente.
<Allora, dammi i dettagli.> disse una
volta dinnanzi allo schermo del computer.
<Stando alla Vedova Nera... intendo
Natasha, quella originale, l’ultima volta che Zakharov
è stato visto di trovava in questa villa di Brighton Beach, proprio di fronte a
Coney Island, in compagnia del boss russo Ivan il Terribile. Li ho mandati lì
per trovare qualche traccia o un indizio che potesse condurci da questo
simulatore, quando improvvisamente ho perso i contatti con loro.>
<Cosa sappiamo di questa villa?>
<Dopo la sparatoria è stata acquistata e
rimessa a nuovo da Aleksandr Lukin... un oligarca
russo, il CEO della Kronas Inc. Ti ricordi di
lui?>
<Lukin… ho
incrociato la sua strada a Montecarlo mentre ero sulle tracce dell’altro
Teschio Rosso. Fu quasi ucciso dall’Esecutrice ma arrivò Nomad
a salvarlo.>[9]
<Esatto. Per quanto ne sappiamo Lukin è, almeno apparentemente, pulito. Il che non significa molto, lo sappiamo bene.
Non voglio trascurare niente. Lukin è un ex generale.
Credo che lui e Zakharov si conoscessero. Forse sa
qualcosa… forse è coinvolto nella scomparsa di Sharon o forse no, ma non
possiamo trascurare…>
<Ho capito> tagliò corto Steve
<Seguirò le loro tracce e li riporterò indietro, puoi contarci.>
<Si ma non dovrai farlo da solo. Ho pensato
di affiancarti...>
<Un momento, che significa “affiancarti”?
n momento, che significa “affiancarti”? Nick guardami, sono sempre io, anche se
non indosso il cappuccio alato. Non sono un novellino di primo pelo, non è
certo la prima missione sul campo che affronto da solo. Sono pronto a correre i
rischi.>
<Ma io no. Non dubito del tuo valore
Steve, ma lo sai anche tu: in due si copre più territorio e si impiega minor
tempo.>
<E a chi avresti pensat...>
prima che potesse finire la frase lo vide uscire dal laboratorio, avvolto nella
tuta nera del Soldato d’Inverno. Aveva nuovamente la protesi bionica al braccio
sinistro ma questo aveva un aspetto differente, e sulla spalla stavolta aveva
una stella bianca, simbolo dell’esercito americano, e non quella rossa
comunista.
<No. No, Nick, non puoi farlo. Non è
pronto.>
<Stronzate, lo sai bene. È la sua memoria che fa cilecca, non la sua
abilità sul campo. Ti sei battuto contro di lui, lo sai bene. La sua
preparazione eguaglia la tua. Insieme, sbaraglierete chiunque ci sia dietro.
>
Se le occhiate potessero uccidere quella che
rivolse Steve a Nick lo avrebbe incenerito all’istante.
CONTINUA
NOTE
DEGLI AUTORI
Note molto scarne
stavolta.
1)
Se non sapete chi è Doc Samson meritate di essere cacciati dal Club di Topo… ehm ci
siamo capiti. -_^
2)
La dottoressa Angela Lipscombe
è stata creata da Paul Jenkins & Ron Garney su Hulk Vol. 2° #12 (in Italia su Devil & Hulk #77). Qui è alla sua prima apparizione Marvelit.
3)
La misteriosa Katherine Svenson è… beh… misteriosa. Ne saprete di più nel prossimo
episodio… forse…
4)
Amadeus Cho è
un nuovo membro del gruppo che andiamo costituendo. Creato originariamente da
Greg Pak & Takeshi Miyazawa su
Amazing Fantasy (Vol. 2°) #15 ed introdotto in MIT da Fabio Furlanetto in Young
X-Men,
Nel prossimo episodio… beh ora volete sapere troppo:
leggetelo e lo saprete. -_^
Carlo
& Carmelo
[1] Ovvero nello scorso episodio
[2] In Italia visto su CAEIV 63 edito dalla Star Comics
[3] Yuri Brevlov, direttore della filiale russa dello SHIELD.
[4] Nella miniserie MiT Steve Rogers: Supersoldier
[5] Ovvero “La Guerra dei Mondi” MiT
[6] Non è andata esattamente così: se volete saperne di più, leggete Young X-Men 6.
[7] In Devil
(MiT) 46
[8] In Devil
MIT #50
[9] Un riassunto veloce di eventi narrati in Capitan America MIT #42/43